sabato 1 novembre 2014

‘Nfièrne Priatorie e Paradìse



No, non voglio parlarvi di Dante e della sua “Divina Commedia”, ma ricordare le “Dimore Eterne”.

Ieri abbiamo festeggiato Halloween perché è “di moda”. Una sorta di carnevale autunnaleilluminato da zucche intagliate, che predilige maschere terrificanti di streghe, fantasmi, zombie, ragni, pipistrelli e gatti neri. 
Mascherarsi per confondere la morte? … festeggiare per prendersi gioco di lei? … 
Di sicuro un modo per esorcizzare la morte e tutte le paure che la circondano.

Una volta invece la morte era timorosamente rispettata perché era Lei, giusta e incorruttibile che ci portava verso la dimora eterna.
La religione cattolica “assegna” dimore diverse a diversi stili di vita:
l’inferno - per i cattivi, i dissoluti, i peccatori incalliti - destinati al castigo eterno.
il Paradiso - per i buoni, i timorosi, i fedeli osservanti  -  meritevoli di pace e gioia eterna
il  Purgatorio - per tutti coloro che pur timorosi, non erano riusciti ad evitare dei “peccatucci” – che dovevano espiare i propri errori e purificarsi, prima di passare al Paradiso.

Il periodo di transizione in Purgatorio poteva essere diminuito dalle preghiere e dalle opere buone fatte dai parenti in vita, in suffragio dei loro defunti.  
Tra i riti di suffragio vi era l’usanza, la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, imbandire:
 “A taùlàte pe l’aneme d’u priatòrie” (la tavolata per le anime del Purgatorio).
Prima di andare a letto, sulla tavola senza tovaglia, per ogni anima che si voleva suffragare si lasciava un piatto, un bicchiere e una fetta di pane, poi si lasciava una brocca d’acqua, una pentola con una zuppa di ceci, una pentola con castagne lesse.
La mattina di Ognissanti il primo pensiero era quello di vedere le condizioni della tavolata …
Grande gioia se il cibo era stato consumato, perché voleva dire che i defunti avevano gradito e avrebbero potuto, quanto prima, raggiungere il Paradiso.
Nel caso in cui la tavolata era intatta e il cibo era rimasto nelle pentole si ipotizzavano due possibilità:
che i nostri cari fossero già in Paradiso a godere della meritata vita eterna, o che, malauguratamente, erano stati destinati alla dannazione eterna dell’Inferno.
Certo non vi era modo per sapere la verità e le pene del dubbio venivano addolcite mangiando i dolcetti di pasta reale a forma di fave,tipici della festività di Ognissanti “le fave de le muerte”.
Ovviamente le tavolate erano onorate dai furbetti di casa che ingannavano Morfeo per godere di un lauto pasto nel cuore della notte.
Per quanto belle e suggestive nessuna credenza popolare può riportare, seppure per una notte, i nostri cari defunti a godere della nostra tavola.
Questa usanza però, porta sul desco familiare ceci, castagne, fave … perché?... Come mai?
I ceci – dalla forma rotonda e schiacciata simile a un teschio e per questo detti “le càpere de le muerte”.
Le castagne – frutto che nutre in un periodo in cui la natura è a riposo, sono considerate cibo dei morti.
Le fave – considerate anch’esse cibo dei morti, perché il loro fiore bianco con macchie nere disposte a forma di “tau”, lettera greca iniziale di “tanatos” ossia morte. Inoltre si crede che le fave nere assumano quel colore, perché contengono le lacrime dei defunti.
Infine bisogna evidenziare che ceci, castagne e fave hanno in comune il fatto di essere frutti contenuti in un baccello o in un riccio per le castagne – similmente al corpo dei defunti che viene riposto in una bara prima di essere seppellito.

Bello entusiasmarsi per le novità,  ma ricordiamoci che "Ogni munne è paìse".



Nessun commento:

Posta un commento