martedì 27 agosto 2013

'A Sanda Mòneca

Il 27 di agosto la chiesa cattolica ricorda Santa Monica, madre di Sant'Agostino.
Santa Monica fece voto di non abbandonare il figlio Agostino finchè questi non si fosse convertito al cristianesimo. La sua tenacia e perseveranza compirono il miracolo e Agostino finì per battezzarsi. Santa Monica ritenne così di aver compiuto con ciò la propria esistenza terrena e si spense serenamente ad Ostia, vegliata dal figlio, futuro padre della Chiesa.

Il culto di Santa Monica era diffuso in tutto il bacino mediterraneo di fede cattolica ed era legato ad una pratica divinatoria. 

Il nome della santa era invocato da coloro che volevano avere notizie dei propri cari lontani o dispersi a causa di guerre, cataclismi o altri drammatici eventi.
In tempi in cui il telefono non esisteva ed anche spedire una lettera era una impresa, non era raro che bastasse che qualcuno emigrasse in una città distante qualche centinaio di chilometri per perderne le tracce, a volte per sempre.
Tradizionalmente, chi voleva avere notizie di un proprio caro doveva vegliare in preghiera e alla mezzanotte tra il 26 e il  27 agosto, approssimarsi ad un incrocio, un trivio o un quadrivio,
rivolgere una invocazione alla santa, ed osservare e ascoltare tutto quello che succedeva subito dopo. Persone, animali, parole, suoni. 
In funzione di tutti questi particolari si sarebbe potuto trarre il responso alla domanda rivolta alla santa: 
per esempio: vedere un carabiniere significava guai con la giustizia; dottori o simili guai di salute, ecc. 
Il rito di Santa Monica era anche impiegato per avere risposta ad altre domande: se una fanciulla avrebbe trovato marito, se un matrimonio sarebbe stato felice, se una impresa avrebbe avuto successo ed altri dubbi simili.

Solitamente questo compito era svolto dalle donne più influenti della famiglia e veniva trasmesso in maniera matrilineare e riservata. 
Il rito iniziava col segno della croce e recitando un Padre Nostro, un Ave Maria e un Gloria al Padre  e infine l'invocazione alla santa:
"Sanda Mòneca piatòsa,
sanda Mòneca lacremòse;
a Rome sciste e da Melàne avenìste;
e cume le nueve d'u figghie tue annucìste,
accussì annuce le nueve

…de ( …marite, figghie, frate, sore…).
(Santa Monica pietosa,
santa Monica lacrimosa;
a Roma andasti e da Milano venisti;
e come portasti notizie del tuo figliolo,
così portami notizie di (…un marito, figlio, figlia, fratello, sorella…)


Nel 1947 Alfredo Majorano mette in scena la commedia "A Sandamoniche", e nella prefazione del libro, così spiega questa pratica:
"...Invocano Santa Monica le  mamme per conoscere l’avvenire dei figli, le fidanzate per sapere se saranno sposate dai loro promessi, le maritate abbandonate che sperano il ritorno dei loro uomini al focolare domestico e chi spera anche di ereditare da parenti che stanno per scomparire dalla scena del mondo. 

Svelare il futuro con segni manifesti; questo si chiede a Santa Monica.
A mezzanotte in punto le nostre popolane, affacciate ai balconi, ai terrazzi, dopo aver recitato un Pater, un’Ave e un Gloria, invocano Santa Monica ….. Indi, restano in ascolto, trepidanti, per trarre l’oroscopo lieto o triste dei propri affanni, delle proprie speranze, dai fatti che si svolgono giù per la strada ed oltre, qualsiasi manifestazione esterna vista ed udita sarà considerata un segno rivelatore: ciò che dicono i passanti, un canto di uomo o donna, un pianto di bambino o adulto, una risata allegra o sghignazzata, una porta sbattuta violentemente, un cane che abbaia, il fischio del treno ed anche gli elementi atmosferici, cioè pioggia, vento, temporale, eccetera..."


Nella Commedia di Majorano, dopo il Pater, Ave, Gloria, l'invocazione alla Santa è preceduta, e rafforzata, da una invocazione alla magia della notte, recitata anche per la notte dell'Epifania, tra il 5 e 6 gennaio:
" Sanda nott'è sanda dije
sanda Pasca Bufanije
famme vidè a sorta meje mprinsione,
cu a cont'a ogne pirsone."
(Santa notte e santo giorno
santa Pasqua Epifania
fammivedere la mia sorte in visione
perchè la racconti a tutte le persone.)

e la commedia si conclude con la protagonista Ndulerate che dice:
"a ci no crète cu le digghia cadè 'a lenghe"

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