domenica 16 ottobre 2011

Chiangìte piccìnne!

Chiangìte piccìnne!…  era l’inizio della frase tipica dei venditori ambulanti che gironzolavano per strìttele e postierle per vendere la loro arte i loro mestieri e la loro merce. Ognuno aveva il suo grido, unico e riconoscibile. Il grido imbonitore comune a tutti era .. chiangite  piccinne...
L’inizio di una frase che continuava: … c’a mamma v’accatte …
Per terminare col nome del prodotto che vendevano, spesso cose che producevano loro, nei campi.
Mi piace ricordarne qualcuno dei più curiosi, il cui nome col tempo si è italianizzato …


Chiangìte piccìnne c'a mamma v'accatte le … COTT’E CAVITE
Viene da pensare a qualcosa che non esiste più, invece no, tutt’oggi ci piacciono molto specie in questo periodo…. È plausibile chiedersi: E ccè ‘ssò?... udite udite... le caldarroste

 Vendute da chi fornito di tripiede, fornello, padella bucata e cesto si metteva all’angolo a riempire cartocci fatti di carta di giornale con le buonissime castagne appena appena tirate dal fuoco, pronte a riscaldare le mani gelate dai primi freddi autunnali, e a deliziare il palato.
Buone le castagne, nutrienti  e golose per piccini ma anche per grandi che nelle cantine le usavano come spingitore, ossia per far invogliare a bere vino, perché la castagna se non è innaffiata “ annoddeca” (fa affogare) … e il vino aiuta a “gnottere” …


Oltre le cott’è cavite c’erano anche  le cott’allesse,  le castagne lesse.
Poi c’erano anche le  castagne d’u prevete: castagne lessate e poi infornate:  si dice che vennero chiamate così per via di un prete che era molto ghiotto di castagne lesse  e  siccome preferiva mangiarle caldissime,  un giorno che lui ritardava la perpetua per tenerle in caldo le mise nel forno, dove presero un sapore diverso ma altrettanto gradevole, al punto che il prete chiese di prepararle sempre in quel modo.


Chiangìte piccìnne c'a mamma v'accatte le … PIGHIANCULE

Cos’era?  … Un frutto strano, ma anche straniero, ma che nelle nostre terre attecchisce bene, regalandoci i suoi deliziosi frutti, quali? I  Cachi …o loti … o diosperi … come li chiamano alcuni … generalmente si usa il singolare “caco” – termine errato  ma che descrive perfettamente l’effetto collaterale provocato dall’eccessivo consumo… che in versione dialettale ha generato il termine “pighiancule”.
Buoni dolcissimi se consumati a giusta maturazione, perché se sono acerbi sono aspri e "allippen’a lenghe!”
Però siccome quando sono maturi so’ modde modde e a molti non piacciono per questo… per soddisfare le richieste di coloro che li amano belli tosti sono nati i cachi vaniglia che hanno la consistenza di una mela e la dolcezza del cachi.
I cachi accontentavano le mamme, perché erano economici e nutrienti,  e i bambini perché erano golosi e “divertenti”  perchè avevano la sorpresa all’interno, proprio come gli attuali ovetti di cioccolato. 

Nei semi dei cachi il germoglio assume la strana forma di una posata: forchetta, cucchiaio, coltello, tutti abbiamo giocato a  rompere sotto i dentini i semi per vedere quale posatina trovavamo dentro, perché nella fantasia popolare:
-   la forchetta  “te ponge ‘u core” ( pungeva il cuore) , simboleggiava amore
-   Il cucchiaio  “porte solde a palate"   (portava soldi),
-   il coltello “ te stonna tagghiene” (portava invidia e maldicenze).


Chiangìte piccìnne c'a mamma v'accatte le sète
Ossia la melagrana, frutto dolcissimo, goloso e curioso, circondato da leggende, credenze, tradizioni, cunti e muttètti.
I suoi grani rossi sono simbolo di prosperità e buon auspicio, e per questo particolarmente consumati nel cenone di Capodanno.
Forse il nome dialettale deriva dal fatto che la loro buccia era usata per colorare di giallo i tessuti…anche la delicata seta, perché si fissa anche a freddo, senza bollitura.


Chiangìte piccìnne c'a mamma v'accatte le … ‘u zippere doce Questo lo conoscete tutti…. Comunque il bastoncino di liquirizia meritava due righe.
Anche lui aveva il suo bravo venditore che andava a trovarli nei campi e poi li vendeva, sapendo che erano ricercati da grandi e piccini.  







E parlando di venditori ambulanti mi piace ricordare: Francesco, ai più noto come “ciambell’e braciòle’” …. Lo storico venditore di giocattoli al mercato. Storico perché io lo ricordo da sempre, sempre lo stesso grido variabile solo con le stagioni, ma sempre lo stesso...nel periodo autunno /inverno, da settembre a maggio il grido è: “I palloncini della festa di Taranto”… quale festa? Boh! Non si sa, non una precisa, tranne che a maggio, quando il grido cambia in onore del nostro Patrono e diventa: “I palloncini della festa di San Cataldo”….
Periodo primavera/estate,  da maggio (dopo san cataldo) a settembre il grido è: “ciambell’è braciòle’” …. Quello che gli è valso la nomination… Sentendo questo grido, chi non lo sa può pensare alla vendita di deliziosi gnucculjiedde nostrani, qualche panino con i nostri indimenticabili involtini, oppure a deliziosi dolcetti. E invece no, niente di mangereccio. E allora, cosa sono? ... salvagente (ciambelle) e braccioli (braciòle) da nuoto per i bambini  …
Ma non finisce così perché quello che rimane impresso di questo personaggio è la sua tecnica di vendita.
Lui si sposta con la sua vecchia bicicletta da un mercato all’altro, non porta con se molti giocattoli,  una diecina di palloncini colorati, ciambell’ e braciol’ a cui unisce qualche secchiello e paletta, qualche girandola, ma non quelle moderne enormi, colorate e tecnologiche, usate per scacciare i piccioni cittadini, ma le girandole piccoline e semplici e artigianali di una volta…Lui ha sempre in mano un palloncino o una girandola, appena passa una mamma col passeggino, mentre la mamma, ignara, chiacchiera tranquillamente con l’amica a seguito, sua compagna e consigliera per gli acquisti,  lui mette il palloncino o la girandola in mano al bambino… Appena la mamma se ne accorge, toglie il giocattolo dalle mani del bambino e, credendo sia stato il figlio ad agguantarlo,  lo restituisce al venditore scusandosi; ma cosa succede nel frattempo? Il bambino, privato del giocattolo e rimproverato suo malgrado, comincia a piangere e a scalpitare e…. la mamma si vede costretta ad acquistare il palloncino …
E così tutti sono felici e contenti: il piccolino ha il suo giocattolo, il venditore ha il suo guadagno e la mamma può continuare a girare tranquillamente il mercato …

 

domenica 2 ottobre 2011

'A vinnegna

<Quanne è tiemb' de vinnegna - "zi cc'è vegne, zi cc'è vegneu"
Quanne è tiemb' de zzappa e put' - No sse vedene le nipute.>


Nonostante le temperature ancora calde, è arrivato Ottobre portando con se l'autunno che solletica i nostri nasi, profumando l'aria col tipico odore, frizzante e dolciastro, dell'uva matura.
Ottobre è il mese della vendemmia.  Come ogni anno in questi giorni i vigneti, già dalle prime ore dell'alba si animano. Tra i filari sotto i tendoni è un brulicare di persone, fèmmene e 'uèmmene  che si dedicano alla raccolta dell'uva, un momento atteso un anno, un vero e proprio rito fatto di regole e di tradizioni antichissime che, pur mutando metodi e tecniche di esecuzione, si perpetuano ancora.
È l'uva la reginetta della festa, è lei la grande protagonista. La troviamo nei cesti di vendemmia stracolmi, nei trattori carichi che vanno e vengono trasportando le tinodde, e soprattutto la troviamo nella bocca di tutti, che gustano ammiccando compiaciuti e soddisfatti. 
Il lavoro nei campi è duro, ma è anche un importante momento di socializzazione. Stare insieme, giovani, vecchi e bambini, lavorare col sorriso sulle labbra e la felicità nel cuore,  ritrovarsi tutti insieme a cantare accompagnati dal suono delle pizzicalore, e a scambiarsi battute scherzose.
C'è chi va in campagna ad assistere alla vendemmia col solo scopo di passare una giornata diversa dalle altre, c'è chi ci va perché innamorato della straordinaria atmosfera che si crea in questo giorno.
La vendemmia è il premio di tutto un anno di amorose cure alle viti, è una festa che ricompenserà la fatica e gli affanni con la produzione del buonissimo vino...
Di buon mattino tutti cominciano a tagliare i grappoli che riempiono le tinodde da svuotare nei paramiende (il palmenti) delle cantine.
Aspettando il ritorno del trattore dalla cantina, a metà giornata ci si fermerà per rifocillarsi, mangiando all'ombra d'u tendone, pane cu' a murtadella e alici salate, accompagnato da qualche raciòppa (piccolo grappolo d'uva) e innaffiato col vino buon dell'anno prima.
A fine giornata, mentre gli uomini finiscono di portare l'uva in cantina, le donne di casa prepareranno "u capecanale" - ossia la tavolata tanto attesa da tutti, fatta di piatti tipici.
Tutti i prodotti della campagna sono presenti:
 - insalate fatte con cicoria selvatica: zangùne (tarassaco), prugghiàzze  (portulaca);
 - spingitòra per gustare meglio il vino: finùcchie, àccia, melanzane e carciofi
   sott'olio, diaulicchie salate, formaggi, salsicce .....
per continuare poi con i piatti tipici:
 - ciambotta (minestra di patate, peperoni, melanzane cotte nel sugo),
 - peperusse a scacchiata (peperoni fritti e poi cotti nel sugho con capperi e olive),
fichi settembrini, uva...colori, profumi e sapori che coprono la tavola sulla quale scorre vino, battute, risate e cantie balli, tutti possono alzarsi a cantare, tutti possono improvvisare il loro stornello, o un versetto per un brindisi. Una festa, quella della vendemmia, che ricorda i simposi dell'antica grecia.
La vite, fin dall'antichità è stata una delle colture più diffude nel tarantino, e la sua coltivazione ci è stata insegnata dai coloni spartani.
Le anfore preziose, venute in luce negli scavi del Tarantino, e i cammei con la figura di Dionisio, dicono quale importanza abbia avuto per il popolo la ricchezza vinicola, che ha reso la regione famosa nell'antichità.
Grande nella Taranto greca, la rilevanza sociale del vino, che era il  protagonista indiscusso delle  feste dionisiache, celebrate in autunno fra fiumi di vino e che si concludevano con sbornie collettive benedette da Dionisio.
A tal proposito la leggenda dell'uva, narra che...
...< Quando il giovane Dionisio approdò in Puglia, con il suo corteo di satiri e menadi, vi trovò dei campi sassosi dove cresceva una vegetazione scarsa e stentata. Aveva portato con se un ramoscello di vite, mentre passeggiava per i campi, sfiduciato, con il calzare dorato fece saltare lontano i sassi, scoprendo la terra arsa dal sole, e scavata una buchetta nel terreno, ve lo piantò. Poi andò a cercare un po' d'acqua per innaffiarlo e per ammorbidire il terreno intorno alla pianta, ma quando tornò, il vento impetuoso aveva già sradicato il ramoscello e lo stava trascinando via. Cercò un sostegno ma non vi erano che sassi, non un bastoncino, non una canna, qua e là tra le pietre, biancheggiavano solo ossa di animali divorati dai lupi. Ne scelse tre e ne fece sostegno alla piantina.
Erano un osso di leone, uno di scimmia e uno di maiale.
Il ramoscello crebbe e diede bellissimi grappoli. Ma la pianta aveva assorbito le caratteristiche dei tre ossi che l'avevano sostenuta. Gli uomini se ne accorsero quando spremettero l'uva e assaggiarono l'ottimo vino che ottennero.
La prima coppa li rendeva coraggiosi come il leone, la seconda gai e divertenti come le scimmie, ma la terza, ahimè, li faceva terribilmente somigliare al maiale.>

Così i tarantini spiegano ai forestieri le caratteristiche e i pericoli del loro vino corposo...
Il successo della bontà dei nostri vini è dato innanzitutto dalla qualità delle nostre uve
 - sia da tavola, come la duraca, la reggina, l'italia, la cornola,
 - sia da vino, come sannicola, moscato, primaticce, malvasia

E anche l'uva ha la sua storia...

IL PRIMITIVO
< È il vino storico per eccellenza di questa terra, erede dell’antico “merum” (da cui deriva il termine dialettale mieru) citato ed elogiato nelle odi di Virgilio ed Orazio.
La storia del Primitivo si confonde, a tratti, con la leggenda. Proveniente in Puglia, con ogni probabilità dall’Illiria oltre 2000 anni fa.
L'origine e la definizione di primitivo si deve ad un uomo di chiesa, Don Francesco Filippo Indelicati,  primicerio della chiesa di Gioia del Colle, il quale notò che tra i vitigni da lui amorevolmente coltivati c'era una pianta che giungeva a maturazione prima di tutte (da qui il nome: primativus o primaticcio), dava un uva gustosa e dolce e si poteva vendemmiare già sul finire di Agosto.
Il primitivo giunge a noi per merito di, Don Tommaso Schiavoni Tafuri il quale sposò la contessina del casato Sabini di Altamura, che portò in dote delle barbatelle scelte di quella vite così particolare.
A Manduria e dintorni, la pianta ha trovato, sin da allora un ambiente favorevole e  ottimale, soprattutto nelle lingue di terra che costeggiano il mare, il clima ha favorito quell'appassimento naturale del frutto, che fa aumentare gli zuccheri ed elevare la gradazione alcolica. >


Una particolarità del primitivo, molto gradita ai contadini, è che il primitivo regala ben due "raccolti" - uno a fine agosto e uno agli inizi di ottobre.
Continuiamo con le curiosità.

Anche se il vino era sicuramente prodotto da secoli, l'origine del nome Malvasia trae origine da una leggenda molto sfiziosa...

LA MALVASIA
< ...un povero contadino, Adimaro, lavorava a mezzadria le vigne di un signorotto.
Un giorno mentre trasportava il vino dolce, denso, profumato, che otteneva dal lavoro nelle vigne, per farne offerta alla chiesa, lungo il cammino incontrò il suo padrone. Sapendo che avrebbe subito un'ispezione e temendo la condanna che il suo padrone gli avrebbe afflitto, con atto di fede chiese aiuto:
"Signore, fa che succo di malva sia...".
Fermato per l'ispezione, il suo padrone gli chiese cosa trasportava, e Adimaro rispose: "succo di malva" -  ma il padrone certo di essere stato derubato, volle assaggiare quello che trasportava, al primo sorso fece subito una smorfia di disgusto e Adimaro così capì che le sue preghiere erano state esaudite.
Il suo padrone lo lasciò passare e Adimaro portò in chiesa il suo buon vino, che da allora si chiamò Malvasia.>