venerdì 18 marzo 2011

San Giuseppe

Il periodo quaresimale non comprende solo i riti di preparazione alla Pasqua. Esiste una ricorrenza che coincide con la fine della stagione "fredda", ed è la festa di S. Giuseppe il 19 marzo. 
Questo santo è il Padre nella Sacra Famiglia, il nume tutelare della famiglia, l’artigiano, il protettore degli orfani e degli indigenti, il protettore dei derelitti - grazie alle tradizioni a lui collegate, molti di loro, in tempi passati, riuscirono a riscattarsi o, anche solo, ad avere un pasto caldo ed abbondante quando regnava la miseria più completa.
Quando i bisognosi costituivano la maggior parte della popolazione, in questo giorno, i mendicanti, vestiti di cenci, giravano per le vie dei paesi e, fermandosi sull'uscio delle case, col viso coperto, elemosinavano un po' di cibo a tutti coloro che, in questa occasione, preparavano qualcosa da mangiare per offrirla a chiunque bussava alle loro porte. Non a caso la sua è sempre stata la Festa dei poveri.
La devozione nei confronti di S. Giuseppe si concretizza nella tradizione che al di là dell'aspetto religioso, una volta, rappresentava la mensa dei poveri,  oggi è simbolo di ospitalità verso tutti, turisti compresi...
LE TAVOLE DI SAN GIUSEPPE
Non si hanno molte notizie sull'origine di tali "banchetti di carità". Un culto che quasi sicuramente ha origini arcaiche: i culti della fertilità della terra in onore delle divinità delle messi - Demetra per i greci, Cerere per i romani. La tradizione arcaica nel tempo si è incontrata con quella religiosa e si pensa che "le tavole" richiamino la mensa pasquale imbandita dagli Ebrei, o che vogliano riscattare il Santo dall'inospitalità ricevuta quando, a Betlemme, cercava un riparo per lui e per sua moglie.
Questa tradizione sopravvive ancora in Puglia, nel brindisino vengono chiamate "màttre" - mentre nell'entroterra del territorio tarantino (Lizzano, San Marzano, Faggiano) "tauli di San Giseppu".
Io conosco questa tradizione perchè mia nonna era originaria di Lizzano e avendo vissuto tutto questo, amava raccontarlo. E' una tradizione molto antica che è riuscita a sopravvivere ai tempi moderni e per questo degna di essere divulgata.
Le "tavole" vengono preparate in case private, e offerte a S. Giuseppe per ricevere la sua protezione, per chiedere una grazia, o per adempiere a un voto. Il loro allestimento è lungo e accurato, ed è per questo che ha inizio molti giorni prima del 19 marzo.
Nonostante il valore più che altro simbolico del pranzo, questo viene preparato secondo un preciso ricettario, escludendo la carne, il formaggio, le uova, com'è obbligatorio nel periodo di quaresima.
La tradizione impone che la "taula" sia imbandita con 19 portate - in onore al giorno del mese in cui cade la festa del Santo.
Tutte le pietanze della "taulata" devono essere rigorosamente cucinate tradizionalmente e preparate manualmente, senza l'aiuto dei moderni elettrodomestici, perchè è indispensabile che esse contengano come elemento e ingrediente principale, la fatica del sacrificio.
 I piatti tipici "di li tauli" sono:
 La "massa" - tagliatelle fatte in casa con i ceci cotti nella pignata. Piatto che richiama il bianco e il giallo che sono i colori del fiore tipico di questo periodo...il narciso - fiore che ricorda il bastone fiorito di San Giuseppe (la cui versione selvatica in dialetto viene chiamato "past' e cicir').
La "pasta rizza cu la muddica" detta anche "pasta di San Giseppu" - ossia tagliatelle ricce condite semplicemente con della mollica di pane fritta in olio con un battuto di prezzemolo, aglio e peperoncino.
I "virmicieddi cu lu mele"- spaghetti fatti in casa conditi con miele, mollica di pane fritta, chiodi di garofano e cannella e si completa il piatto mettendoci sopra una vopa o una sarda fritta.
Piatti semplici che richiamano una cucina povera ed essenziale, per questo il formaggio viene sostituito dalla mollica di pane fritta, condimento questo povero ma gustosissimo, che in periodi di magra, quando tutto scarseggiava e niente poteva essere scialato, consentiva il riutilizzo del pane raffermo anzi duro e talvolta con un velo di muffa (il famoso pane cu la piluscina,....... che se mangiato, faceva spuntare un dente d'oro......).
Lu "cranu stumpatu" ossia grano pestato - La ricetta è semplice: il grano precedentemente ammollato viene pestato in mortai, poi i chicchi bianchi e puliti vengono cotti per circa due ore e poi conditi con un soffritto di olio, aglio, cipolla e un pizzico di pepe. E' un piatto antichissimo che rinnova il miracolo della spiga che può essere mangiata prima che diventi farina, pasta o pane.
Li "favi 'ncrapiati" - una minesta di fave bianche passate a cui si unisce cicoria selvatica lessata e pezzetti di pane raffermo e si impasta il tutto con dell'olio cotto.
"lampasciuni" in tutte le varianti, "rustuti", lessi, col sugo.
 Lu "runchettu in umitu" - si tratta di stoccafisso in umido, cotto con olio, prezzemolo, aglio, cipolla, "pummitori pinnulari" (pomodori paesani che durante l'estate vengono appesi a grappolo ad un filo di spago.
 Pesce arrostito, pesce fritto, baccalà fritto.
 Il pesce su queste tavole non deve mai mancare, perchè simboleggia il Cristo stesso.
 Non manca il pane che su queste tavole assume notevole rilevanza simbolica e viene preparato in due forme: il tarallo detto "putato" e la pagnotta tonda, su cui viene disegnata una croce prima di essere infornata, detta "pace".
Il pane viene posto al centro della "taula", disponendo le tre "pace" e il "putato" al centro, perchè le tre pagnotte rappresentano la Sacra Famiglia e il tarallo la Corona di Cristo Re.
 Infine sulla "taula" non possono mancare i dolci tipici rappresentati da:
 "carànciuli" - che sono bastoncini di pasta ritorti, fritti e passati nel miele. Simboleggiano il bastone di San Giuseppe.
"carteddhate"- sottili strisce di pasta, fritte e ricoperete di miele. Simboleggiano "li farfùgghi di San Giseppe" ossia i truccioli che San Giuseppe produceva piallando il legname.
Per rappresentare il rito, "li tauli" vengono imbandite nella stanza più spaziosa della casa, spesso la camera da letto, dove si sistemano le tavole, che vengono coperte con bianche tovaglie.
La famiglia devota sceglie, poi, alcune persone, fra parenti ed amici, secondo il detto "San Giseppu 'nvita li sui sui" (S. Giuseppe invita i suoi suoi - dove per  "suoi suoi" si intendono i parenti più cari). Questi, dovranno impersonare la Sacra Famiglia e non potranno essere cambiati, di anno in anno, se non per loro rinuncia. 
I personaggi principali sono tre e rappresentano San Giuseppe, la Madonna e Gesù. Molto spesso, i personaggi sono più numerosi e simboleggiano alcuni santi: S. Gioacchino, S. Anna, S. Giovanni, S. Elisabetta, S. Zaccaria, S. Marta, S. Lazzaro, S. Maria Maddalena, S. Simone e S. Anastasia.
La "tavola" sarà, quindi, formata dalle tre alle tredici "figure", sempre in numero dispari, per richiamare il numero della Sacra Famiglia e il numero degli apostoli partecipanti all'Ultima Cena.
Al centro della stanza verrà collocato un piccolo altare con la statua di S. Giuseppe o una sua effigie, e il posto del Santo verrà indicato con un bastone adornato con un giglio fiorito, simbolo del miracolo grazie al quale, secondo la leggenda, egli fu scelto per essere lo sposo di Maria.
Alla vigilia della festa, il 18 marzo, la "tavola" è pronta e cominciano ad arrivare i visitatori, alcuni dei quali, poi, si fermeranno a pregare nella veglia notturna. Questa usanza, col tempo, si è affievolita e, ora, quasi nessuno è disposto a restare tutta la notte in meditazione.
La mattina del 19 il sacerdote fa visita alle "tavole" e le benedice.
Il rituale vero e proprio, detto "mangiata di li santi" ha inizio all'ora di pranzo, quando i Santi prendono posto a tavola. S. Giuseppe dà un colpo di bastone a terra e dopo aver recitato una preghiera, invita i commensali a mangiare. Le portate vengono servite in ordine dal padrone di casa che le porge al Santo, il quale, a sua volta, le passa agli altri invitati. L'assaggio di ogni pietanza inizia sempre pronunciando una tipica espressione di ringraziamento: <San Giseppu l'agghia ansettu> ossia "San Giuseppe l'abbia gradito".
Quando il festeggiato ha terminato una pietanza, o quando, semplicemente, si ritiene sazio, dà un colpetto sul piatto con la forchetta e questo obbliga tutti gli altri a terminare.
Alla fine del banchetto, le pietanze vengono poi distribuite ai poveri e a tutti i presenti, in segno di fratellanza.


 I PANI VOTIVI DI SAN GIUSEPPE
Oltre quella delle Tavole, nel Tarantino esiste una tradizione legata alla celebrazione religiosa di San Giuseppe ed è quella dei Pani votivi......
Sono panetti elaborati dalle sapienti mani delle donne, i pani si presentano nelle più svariate forme. I principali simboli rappresentati sono quelli della tradizione cristiana,  il tarallo,  il pesce, o i simboli della pentecoste, cioè la scala, la tenaglia o i tre chiodi. Oltre a questi, di chiaro riferimento religioso, poi ci sono le pagnotte.
Questi pani vengono preparati per devozione, ma anche per sciogliere il voto per grazia ricevuta.
La mattina del 19 marzo, alla prima messa, i devoti portano questi pani in chiesa. Durante la messa il parroco procede alla benedizione dei pani che alla fine della celebrazione, vengono poi distribuiti a tutti i fedeli.
La credenza popolare vuole che prima di mangiare questo pane, bisogna farsi il segno della croce e recitare un "Padre Nostro" un "Ave Maria" e un "Gloria".
Si pensa inoltre che sia di buon auspicio conservare un pezzo di questo pane, perchè pare abbia il potere di calmare le tempeste. I nostri avi usavano spezzare e buttare in mare dei pezzi di questo pane quando le tempeste del mare potevano mettere in pericolo la vita dei marinai. Anche questo rito rievocava qualcosa di antico. Placare l'ira e la fame delle divinità del mare dando loro in cambio il pane simbolico, il pane sacrificale al posto degli uomini.
 
I FALO' DI SAN GIUSEPPE
Altra usanza, che illumina e "riscalda" la festività di San Giuseppe sono  i falò.......
Ancora oggi sin dai primi giorni di marzo, nei paesi, i ragazzini  girano per le campagne alla ricerca di legna, arbusti, frasche e rami di ulivo provenienti dalla potatura degli alberi, che servono per la costruzione del falò di S. Giuseppe. E' una tacita gara fra i rioni che ha come scopo quello di formare la catasta più imponente per il giorno dedicato al Santo.
Il giorno di San Giuseppe, in cima alla catasta, viene esposto un santino con l'immagine sacra. La sera i falò si accendono, e si vedono brillare in determinati punti del paese fuochi di fiamme e scintille che salgono sempre più in alto nel cielo.
Paesani e turisti fanno il giro per assistere al suggestivo spettacolo, e per raccogliersi intorno ai falo'.
Quando i falo' cominciano a consumarsi, i ragazzi si cimentano in gare, divertendosi a scavalcarli con grandi salti, e le vecchiette, recitano Rosari e intonano inni per San Giuseppe.
Vi è anche l'usanza di mettere sotto la brace delle, salsicce, patate, ceci, che vengono offerte ai presenti.
Poi pian piano la magia si spegne, le fiamme si consumano lentamente con l'inverno lasciando al suo posto la brace, che anticamente veniva raccolta dalle donne come segno di buon auspicio.
L'accensione dei falò nella ricorrenza di S. Giuseppe si confonde con i culti tipici del mondo pagano. Si sa che molte feste religiose hanno sostituito preesistenti festività pagane che hanno origini perdute nella notte dei tempi ed gni anno, nell’equinozio di primavera, rievocano il rito propiziatorio dell'arrivo della Primavera.
Non a caso la ricorrenza in onore di S. Giuseppe corrisponde all'equinozio di primavera, periodo per eccellenza consacrato, con processioni rituali e fuochi di purificazione, alla celebrazione della rinascita della natura. Tutti i culti religiosi del resto hanno avuto inizio dall'adorazione del sole e della luce e sappiamo quanto importante sia stata e sia ancora oggi nella liturgia cattolica il fuoco come simbolo della luce divina. Le cerimonie del fuoco, sia nei culti pagani che in quelli cristiani, sono abbastanza affini per quello che riguarda gli scopi che si spera di ricavarne. Si affidano al fuoco l'abbondanza del raccolto, il benessere degli uomini e degli animali, il compito di scongiurare, di scacciare o, se vogliamo, di "bruciare" tutte le potenze negative. Il fuoco insomma ha avuto sempre una doppia valenza: negativa come strumento per allontanare il male, positiva per simboleggiare i benefici del sole, della luce e,dunque della divinità.
Fin dall'epoca etrusca veniva infatti celebrato il rito del "seme sotterrato" simbolo di vita: in occasione di questa festività, coincidente con la fine dell'inverno, venivano anche appiccati enormi fuochi.
Durante il Medio Evo tale cerimonia fu cristianizzata e fatta coincidere con la festività di San Giuseppe.

Nessun commento:

Posta un commento