martedì 15 marzo 2011

Dalla terra, per la terra.

Oggi sappiamo che i garibaldini erano consapevoli di aver fatto l’Italia ma che bisognava fare gli italiani, ma all’epoca la situazione era molto confusa ed è doveroso il contributo all'altra faccia dell'unità d'Italia ...
A Taranto dal 15-17 luglio 1860 ci furono tumulti contro l’imbarco di grano su navi mercantili del regno. Il grano veniva svenduto per le strade della città pur di non mandarlo ai Borboni.
Pensare che poche settimane prima, la maggior parte della popolazione era di fede borbonica. Appena giunsero notizie dello sbarco a Marsala, alcuni patrioti si ritrovarono a discutere sulla costituzione di una guardia nazionale. Il luogo delle riunioni era  presso il caffè Moro ( un vecchio locale nella piazzetta S. Caterina ), dove ci fu  una sparatoria contro i liberali (detti “le coppole rosse”), pacificamente riuniti. Fortunatamente non ci furono morti. La guardia nazionale fu costituita e l’ordine pubblico fu affidato a migliaia di cittadini armati. Non ci furono più incidenti ma dalla città furono allontanati il sottintendente Giacomo De Monaco e l’arcivescovo Rotondo dichiaratamente filo borbonici, ritenuti responsabili della sommossa dei giorni precedenti.                                
Un’altra pagina di storia è stata voltata, ma ancora una volta le trasformazioni sono più subite che volute. Disillusione e scetticismo rimangono il pane del popolo Tutte le velleità innovatrici e i furori antiborbonici trovano sfogo contro la fontana di Carlo V, della quale si decide la demolizione come prova di ostilità contro il vecchio regime.
I contadini lamentano miseria , soprattutto quando l’istituzione del servizio di leva di cinque anni allontana braccia lavoro alle arretrate campagne meridionali. Molti i renitenti costretti a scappare. Il malcontento sfociava in rivolte  e in questo clima l’ alternativa era    brigante o emigrante.                                
I briganti che agirono nella provincia di Taranto furono:
 Francesco Ranallo detto  il Catalano,
 Francesco Paolo Valerio detto il Cavalcante,
 Antonio Locaso, detto  lu Capraro,
 Francesco Perrone, detto Chiappino,
 Arcangelo Cristella, detto Pirichillo.
Giuseppe Valente detto  nenna nenna, uno dei pochissimi briganti (se non l’unico)  che sapeva leggere e scrivere e con una spiccata capacità dialettica,  doti che gli valsero il titolo di  "il letterato".
Ma il più famoso fu Cosimo Mazzeo , detto Pizzichicchio, affiancato da Francesco Maniglia e Tito Trinchera, ma ricordato sempre con  Rocco Chirichigno, detto Coppolone. Rimasti nella storia, nei racconti e nei detti tarantini.
I loro alleati erano i massari, che “dovevano” provvedere a dar loro rifugio e vettovaglie, ma le loro dimore erano i boschi e le grotte, famose quelle di bosco chianelle presso Martina Franca, di San Basilio, Castellaneta, Crispiano ...
I briganti erano contadini, analfabeti, delusi, colpiti negli affetti più cari che per protesta, per difesa, per giustizia o per vendetta,  si davano alla macchia.
Ognuno per ragioni diverse seguirono un destino comune.
Erano amati dai contadini e odiati dai padroni, coi quali erano spietati. Per questo contro di loro la  Guardia Nazionale si dimostrò altrettanto crudele. Le campagne venivano rastrellate e quando qualche brigante (o presunto tale) veniva ucciso,  i cadaveri venivano caricati su asini e portati a Martina, in corteo via del Ringo, lungo il rione San Vito e la piazza di San Francesco, per poi essere buttati in un burrone,tuttora identificato  come  "u’ munnezzàre".
I briganti catturati vivi, venivano giudicati nel Palazzo Ducale e portati in piazza Sant'Antonio, nell'ampio largo occupato oggi dal teatro Verdi, dove erano fucilati e poi  buttati indre u’ munnezzàre, la fossa comune dei briganti.
 Le gesta dei briganti furono cantate dai cantastorie, e tramandate dalle leggende della tradizione orale contadina, che ha trasformato la feroce realtà in epici eroismi  alimentati dalla passione per  amori impossibili e dalla voglia di ricchezza appagata dai tesori nascosti.
 Bellissimi i versi anonimi musicati da Eugenio Bennato che  fanno capire chi erano i briganti:
 Amme pusate chitarre e tammure
pecchè sta musica s'ha da cagnà
simme brigant' e facimme paura
e ca sch'uppetta vulimme cantà
'Omm' s' nasc' brigant' s' mor'
ma fin' all'utm' avimm' a sparà
e se murim' menat' nu fior'
e 'na bestemmia pe' 'sta libertà.



Pizzichicchio e Coppolone sono i briganti più famosi nel tarantino. Su di loro sono nate tante leggende,  essere derubati dai briganti, incontrarli, o vedere in lontananza una sagoma con cappellaccio e mantello nero ..... era motivo di vanto .... storie da raccontare a tutti.
Anche Talsano ha la sua ...
Si dice che il Pizzichicchio, dopo la notte grottagliese del 17 novembre 1862, nell'aprile del 1863  decise di saccheggiare anche a 'u calavrese, ma....
... a quanto pare quella sera la banda del Pizzichicchio si fermò presso una masseria (non faccio nome perchè ogni versione ne cita una diversa, e Talsano ne è circondata... chi dice "pizzariedde", chi "abatresta", chi "rapillo", chi "lecutrane") e con l'intento di rifocillarsi aspettando la notte per saccheggiare Talsano ....

In masseria quel giorno avevano cucinato fagioli, ma non abbastanza da sfamare tutta la banda di Pizzichicchio…. Ma non era il momento di perdersi d’animo e in cucina cominciarono a soffriggere nell’olio del pane raffermo tagliato a pezzi e poi lo mescolarono coi fagioli. Prepararono un piatto povero ma gustosissimo le fasùle a cecameriti
Furono serviti fasùle a cecamariti e vino in quantità. I briganti gradirono molto, fecero il bis e il tris.  I fagioli erano un capolavoro ma non facili da digerire, così saziati dai fagioli e confusi dal buon vino, i briganti si addormentarono. Dormirono tutta notte e quando si risvegliarono era già mattina, troppo tardi per compiere la loro impresa.
Così Talsano se la scampò grazie ai fasuli a cecamariti.

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