venerdì 29 ottobre 2010

"Pace a nuje e Paradìse a Vvuje"

Tra pochi giorni  è la festa di Ognissanti seguita dalla Commemorazione dei defunti, date che ci inducono a pensare alla morte, evento poco piacevole che fa parte della vita perché la conclude. 

"Pace a nuje e Paradìse a Vuje" 
a Vvuje ch'avìte state accòm'a nnuje
a nnuje c'àma essere accòme a Vvuje"

è il saluto che entrando nel cimitero si rivolge ai defunti che nei primi giorni di Novembre è usanza commemorare. Oggi la buona creanza vuole la visita al cimitero, un fiore e una preghiera a testimonianza del perpetuo ricordo.  
Ma prima c’era dell’altro…

La tradizione di “Ognissanti” prevedeva la preparazione di un pasto frugale a base di ceci, fave, castagne e lupini, da lasciare sulla tavola la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, notte magica durante la quale si credeva che i parenti defunti potessero tornare brevemente nelle loro dimore. Usanza pagana ammantata da un forte spirito religioso e ricca di significati simbolici:

I ceci – “detti la carne dei poveri” - Cibo dei contadini che quando parlavano di “brodo” intendevano minestra di ceci, perché il brodo di carne (in genere di gallina) era riservato solo ai malati alle partorienti o per ‘u cunzele per i parenti dei defunti.
La similitudine del brodo di ceci col brodo di carne è dovuta al fatto che i ceci sono l’unico legume che cucinato da un brodo consistente, che quando si raffredda  “quagghia” (si addensa) proprio come il brodo di carne.
I ceci erano popolarissimi anche nell’antica Grecia, in quanto il loro prezzo di mercato era molto basso e quindi accessibili a tutti, venivano consumati abbrustoliti, come saporito passatempo, nei teatri e nelle agorà. 

- le fave – Uno degli alimenti più antichi dell’umanità,  essendo buone anche crude, si pensa che siano state il primo legume che l’uomo abbia mangiato. Avendo la buccia bianca e nera nell’antica Grecia le fave erano usate durante le votazioni: le bianche per dare voto positivo, le nere, negativo.
Anche il fiore della pianta delle fave è bianco  con macchie nere che gli antichi greci volevano disposte in modo da formare la lettera “tau”  iniziale della parola “tanatos” ossia morte – da cui la credenza che le fave fossero il cibo dei morti e perciò sempre presenti nelle cerimonie funebri di greci, egiziani e romani.
La gente credeva che i semi delle fave nere assumessero quella colorazione perché contenevano le lacrime dei defunti.

Mangiare fave costituiva una sorta di comunione tra vivi e defunti, uno scambio tra mondo terreno e l’aldilà.

- i lupini -  comparivano sulle tavole dei contadini anche nell’antica Grecia, dove vi era l’usanza nell’ultimo giorno del mese, delle “cene di Ecate”,  durante le quali si usava mangiare lupini cotti e salati, per ingraziarsi Ecate, dea dell’Oltretomba e allontanare dalle case i fantasmi.
- le castagne –  anche loro un cibo povero che abbonda proprio in questo periodo.

… ma fave, ceci, lupini, castagne … sono tutti frutti che nascono avvolti in un baccello, guscio o involucro, che nella simbologia popolare viene paragonato ad un sepolcro,  che si schiude per regalare i  frutti, rinnovando così il ciclo perenne di vita,  morte e rinascita. 

La mattina del 1° novembre, si trovava sulla tavola lasciata imbandita un cartoccio con dolcetti che i parenti defunti portavano per ringraziare dell’accoglienza ricevuta e per essersi ricordati di loro:  

- le “fave duce” (fave dei morti) -  dolci semplici a base di pasta di mandorla, dalla forma schiacciata a forma di fave – 

“le discete de l’Apostele” – altro dolce simile ad un cannolo di pasta di mandorla, ripieno di marmellata.
L'origine di questi dolci è antichissima e legata alla morte.
Per la loro fragranza e dolcezza erano dolci portati come viatico ai moribondi, come ultima dolcezza terrena; e costituivano i dolci tipici di “’u cunzele”  che si portava ai parenti del defunto dopo il funerale per addolcire il dolore per la perdita subita. Sono così buoni che riescono a mitigare la tristezza dell’evento e a ricordare i momenti dolci passati con coloro che ci hanno lasciato.

E per finire alcuni proverbi in tema:

mmar ’a ci more, ca ci reste s’a ‘ggiuste a minestre… (povero chi muore che chi resta se l’aggiusta la minestra - chi muore giace e chi vive si da pace)

Ci une no more l’otre no campano (se uno non muore gli altri non campano-Mors tua vita mea )


A murè e a pajà stè sempre tiempe (a morire e a pagare c'è sempre tempo)

Penz'a' murè ca' stè ci ti prèche (pensa a morire che c'è chi ti seppellisce)

Fin’a ‘u chiavute se po’ gridà sempre “aiute!” (finchè non arriva la bara si può sempre sperare di sopravvivere – solo alla morte non c’è rimedio). 

Ci sèchete le miedece perde 'a vite, ci sechete le prièvete perde l'aneme (chi segue i medici perde la vita, chi segue i preti perde l'anima)



Nessun commento:

Posta un commento